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2 maggio 2015

5 maggio 2015

VUOTO

VUOI qualcosa?

osa!

BUCO lui lei l'altra

LUI. Quel giorno, come sempre, uscì di casa.

Lui, dritto, sprezzante, puntuale.

Quel giorno, come sempre, guardò l’orologio. Oreotto.

Senza essere in ritardo, come sempre, accelerò il passo.

Costeggiò il primo muro di mattoni, manifesti e mattoni, e il secondo di cemento, scritte, manifesti e cemento. Attraversò l’incrocio, come sempre. Fiancheggiò la casa ocra e poi quella rosa, voltò a sinistra e salì la scalinata da sedici lunghi gradini mentre, allo sguardo, affiorava il grigio di un’auto parcheggiata –in divieto di sosta- pensò, come sempre. Voltò ancora a sinistra facendo tintinnare, come sempre, il suo anello sulla cancellata per alcuni metri. Altri passi e, come sempre, abbassò lo sguardo verso un piccolo buco, tra il marciapiede e il muro, pronto a rialzarlo per non perdere l’intermittenza rossa delle 08:08 dell’insegna farmaceutica.

-Puntuale!- avrebbe voluto pensare orgoglioso, come sempre, ma il suo sguardo non si spostò sull’ 08:08 e restò fisso sul bagliore che, come mai, trapelava dal piccolo buco nel muro. 08:09. -24°. 08:10.

Si inginocchiò e, facendo forza sulle braccia, portò la testa a pochi centimetri dal piccolo buco. Non vide nulla ma sotto le mani sentì l’umidità della pioggia. Ore 08:12.

continua

carlo de meo, occhi, rosa, tre nasi, sguardo

ROSA

morbio inferiore, svizzera, case intersecata, luce lampione, notte

diCASA

inCASA

RE

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6 maggio 2015

7 maggio 2015

8 maggio 2015

LEI. Quel giorno, come mai, restò fissa sulla tazzina di caffe fumante. Lei, immobile, in pigiama, confusa. Quel giorno, come sempre, doveva essere altrove se solo non avesse rifiutato. Oreotto. Guardò ancora la tazzina per scivolare poi, con gli occhi, verso la scatola di cartone piena. Si alzò. Con l’indice sinistro spostò l’aletta grande di destra della scatola e, con l’altro, quella di sinistra lasciando le due piccole a coprire, quasi, un insieme caoticamente inerte. Aveva svuotato la scrivania dell’ufficio il giorno prima facendo tabula rasa del micro arredo che per anni aveva amorosamente curato tra uno schermo, una tastiera e un mouse. Aveva svuotato tutto, tutto il suo, e lasciato schermo, tastiera, mouse e un VAF, tirato velocemente con l’indice destro su un leggero velo di polvere.

Mollò i due lembi, afferrò la scatola con distrazione e si diresse verso l’ingresso lasciandosi alle spalle un caloroso bagliore che, proprio in quell’istante, filtrava dalla finestra. Aveva smesso di piovere da qualche minuto e, da qualche minuto, erano passate le otto. Ore ottoesei. Con un mazzo di tre chiavi in mano scese le scale lasciando la porta aperta dell’appartamento, -devo solo posare una scatola in cantina- pensò. Con la più piccola aprì la porta e notò subito il fascio di luce gialla che, da una piccola e rotonda presa d’aria, si proiettava, illuminandole, su poche mattonelle di gres, in una penombra serenamente totalizzante. Spinse l’interruttore e, dopo un “miaccendononmiaccendo” balbettante, il neon spazzò via fascio-penombra-serenità in un veditutto, gelido e abbagliante. Un passo avanti e  la presa d’aria si rabbuiò attirando la sua attenzione, Lei guardò. Ore ottoeotto.

Restò fissa sul buco che, come mai, si era oscurato. Ore ottoenove, ore ottoedieci. Non vide nulla ma qualcosa ustruiva il fascio, qualcosa si muoveva, qualcosa e, nella sua fissità, non sentì più la scatola tra le mani. Ore ottoedodici.

continua

carlo de meo, ombra, mani alzate, uomo nero con occhi

di     MANOinMANO

terracina, progetto installazione, figure nere, strada statale

CI Presero e CI Portarono via tra i CIPressi

L'ALTRA. Quel giorno, come ogni tanto, uscì con il catino pieno sul balcone. L’Altra, bigodinata, in vestaglia, solare. Quel giorno, come ogni tanto, aveva svuotato la lavatrice per riempire il catino azzurro, di quell’azzurro da cielo estivo e pomeridiano. Otto del mattino.

Le piaceva, all’Altra, curare attentamente la sistemazione, ritmare i volumi, calibrare i pesi ma, in particolare e più di tutto, le piaceva distribuire ordinatamente i limitati colori delle sue mollette in plastica. Giallo, Rosso, Rosa. Le blu no, non le aveva mai volute, ne comprate per non smorzare quel “bell’azzurrodacieloestivopomeridiano”. Per prima scelse le rosse a far da spallina alle magliette nere, poi le gialle sul rosso della camicia, ancora rossa, rossa, gialla gialla e rossa rossa continuando per arrivare, finalmente, alle rosa su intimo bianco. Le ultime file, quelle più esterne e ben viste dai passanti, erano e dovevano essere bianche picchettate di rosa. Il cielo si era aperto e la pioggia aveva smesso da poco e lei (L’Altra), con l’ennesima rosa in mano, guardò, per un attimo, l’andare delle nuvole prima di essere attratta da un veloce, breve e cadenzato tintinnio metallico. Con ancora la rosa in mano, si sporse di poco abbassando lo sguardo verso un marciapiede grigio con auto grigia in divieto di sosta e illuminata dal sole. Il tintinnio, che aveva stuzzicato il suo udito, era svanito ma il suo sguardo perseverò fisso focalizzandosi sull’inginocchiarsi di un distinto signore con cappello. Otto e otto del mattino. Restò fissa sull’inginocchiato, incuriosita, perplessa, stranita.

Otto e nove, otto e dieci.  Stranita, perplessa, incuriosita restò immobile e, nella sua fissità, non sentì più la rosa tra le dita della mano. Otto e dodici del mattino.

continua

3

sole nero, sagoma di albero, controluce, cerchio

LUILEIL'ALTRA. Dal terzo piano, la molletta, accelerò in un tuffo verticale che finì dritto sul grigio in divieto di sosta. Un secco “THENNN” risuonò come un gong da inizio ripresa. Lui si voltò, non vide nulla e nel voltarsi scattò in piedi mentre un morbido “OH!”, dell’Altra, fece da eco. Le poche mattonelle di gres si rilluminarono e Lei, accostando leggermente la scatola col piede sinistro, si voltò e spense. Lui, chino, intimorito, in ritardo, si incamminò asciugandosi le mani. Lei , in pigiama, decisa, sbrigativa, salì le scale felice di poter rientrare senza aprire. E l’Altra, assolata, in vestaglia, continuò e dopo aver individuato la fuggitiva, mollò l’ultima rosa.

Ore otto e un quarto circa di una bella, come mai, mattina di sole.

SOLE

NERO ERO NERO

9 maggio 2015

luna piena, testa oscillante, sagoma in legno, pendolo, De Meo - Spanò... museo d'arte contemporanea.

10 maggio 2015

ICARO - L’osservazione dal basso dell’oggetto, permetteva di estrapolarlo dal suo contesto terreno.

La visione si arricchiva di nuovi particolari e i colori, nel controluce azzurro, si fondevano in un grigiore denso e scuro, privo di volumi.

La sera prima. Lui era steso, ancorato sulla scalinata di travertino mentre il lampione, lentamente, incominciava ad accendersi in una sequenza arcobalenica di colori. Pochi minuti, forse uno appena, e la luce fu all’apice, immensa, immersa nello scurire del fondo che, ancora più scuro, sparì dietro l’alone rossastro dell’alogeno.

L’osservazione dal basso dell’oggetto, permette di estrapolarlo dal suo contesto terreno.

La visione si arricchisce di nuovi particolari e i colori, nel controluce celeste, si fondono in un grigiore denso e scuro, privo di volumi.

Quella mattina. Lui è ancora steso, ancorato sulla scalinata di travertino mentre il lampione, lentamente, incomincia a spegnersi in una implosione arcobalenica di colori. Pochi secondi, forse uno appena, e il bagliore artificiale cede allo schiarire del fondo che, ancora più chiaro, sagoma di scuro il lampione come un Icaro nero che indica il sole.

L’oggetto si estrapola dal suo contesto terreno e la sua ombra coincide con quella di Lui che, steso,

ancorato sulla scalinata di travertino, allarga le braccia.

L’osservazione dall’alto dell’uomo, permette di integrarlo alla sagoma buia proiettata dal sole. La visione si arricchisce di nuovi particolari e i colori, nell’ombra, si fondono in un grigiore denso e scarso di volumi.

Lui è ancora steso sulla scalinata di travertino mentre il suo corpo, lentamente, disancorato, incomincia a sollevarsi in una sequenza ritmica di impulsi nervosi. Pochi minuti, forse uno appena, e Lui è ormai fuori dall’ombra, nella luce immensa, immerso nello splendore che ancora più chiaro acceca lo sguardo e infiamma gli arti.

Ancora, ancora mattina. L’osservazione dal basso di Lui permette di dissolverlo nel suo contesto celeste.

La visione si svuota di particolari e i colori non sono altro che pulviscolo nero soffiato nell’aria.

 

PS: -Gioventù bruciata- gridò mio padre vedendomi volare in alto nel cielo in una gran bella giornata di sole.

sole, solo, icaro, controluce, sagoma nera

SOLO

SONO OCCHIALI DA SOLE

SOLE

neve a Rho, due segni sulla strada, persone, neve, parcheggio

due foglie?

due fiamme?

due balene?

due lacrime?

 

comunque, SOLE

 

due foglie, sole.

due fiamme, sole.

due balene, sole.

solo due lacrime.

 

carlo de meo, quattro braccia, testa staccata,

il bello è che non trovo la soluzione

11 maggio 2015

X

INCOGNITA

OGNITANTO

cipuòstare

Y

Z

l'ultima lettera

tappeti persiani pregiati, figura dormiente, piramide di tappeti - museo laboratorio d'arte contemporanea

COOME?

COOSA?

COSA COSA?

PERCHE'?

PER TE!

CERTE VOOLTE.

CERTOO!

VERSOO.

VERSO DOOVE?

DOOV'E'?

LA

LI

E

QUI

QUINDI?

QUI PRO QUO.

QUINDI?

UN QUI

A FAVORE DI

UN QUO.

E UN QUA

SI!

PER

QUE

STO'

QUI

PER QUELLO

LI

"QUU"

14 maggio 2015

QUUANTO BISOGNA ESAGERARE PER ESAGERARE?

15 maggio 2015

figura in controluce che toglie la polvere, finestrone, testo creativo, maranola, casa

Quella mattina, disturbata da abbaglianti luccichii di sole, in piedi davanti alla finestra, seguiva attentamente rigo per rigo e, rigorosamente attenta a tutti gli accapo, ripercorreva, per passare al successivo, diagonalmente e verso il basso,  la  larghezza del    rigo   stesso   segnando 

nell’aria una invisibile zeta con la sua bacchetta, in una sorta di personificazione mascherata di nerobuio dal controluce della finestra, mentre i suoi veri pensieri, proiettati in avanti, già assaporavano l’idea di voltare pagina per uno scaffale rigoglioso  di  polvere  gialla.

Quella mattina, disturbata da abbaglianti luccichii di sole, in piedi davanti alla finestra, seguiva attentamente rigo per rigo e, rigorosamente attenta a tutti gli accapo, ripercorreva, per passare al successivo, diagonalmente e verso il basso,  la  larghezza del rigo stesso segnando nell’aria una invisibile zeta con la sua bacchetta, in una sorta di personificazione mascherata di nerobuio dal controluce della finestra, mentre i suoi veri pensieri, proiettati in avanti, già assaporavano l’idea di voltare pagina per uno scaffale rigoglioso di polvere  gialla.

scrivania di carlo de meo, oggetti accumulati, laboratorio creativo,

GIALLO

COPERTA

COPERTA

16 maggio 2015

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rete metallica
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